Come in un qualsiasi palcoscenico che si rispetti, anche in quello della cucina esiste un dietro le quinte. Essenziale, ma invisibile agli occhi come si conviene a tutto ciò che è importante ma a cui agli spettatori è negato lo sguardo. Se, però, nella locandina di uno spettacolo teatrale trovano spazio, quanto meno, le citazioni di scenografi, responsabili del suono e delle luci fino ad arrivare, talvolta, agli attrezzisti, quando si parla della cucina di un ristorante tutto è molto più ristretto. Di solito non si va oltre lo chef, il sous e il pastry chef, il sommelier e il maître. Nelle retrovie, però, e non solo tra fornelli, frigoriferi e lavelli, ci sono altre figure che ruotano e contribuiscono alla “macchina” di un ristorante. Togliendo cuochi, pasticceri e stagisti, il cui numero e i ruoli dipendono dalla dimensione del locale e dal numero dei coperti, a fare grande qualunque ristorante ci sono anche plongisti, addetti alla lavanderia, economi e, semplici (si fa per dire) runner. Senza di loro l’attività corrente si interromperebbe.

I PLONGISTI. Pensate, per esempio, ai plongisti, ovvero gli addetti alla plonge, nel linguaggio comune i lavapiatti. «Le stoviglie di una cucina sono un patrimonio enorme e prezioso e non si possono affidare al primo venuto – fa notare l’Ambasciatore del Gusto Paolo Griffa che nelle cucine del Grand Hotel Royal e Golf di Courmayeur ha al suo servizio due plongisti specializzati –. Il costo di ognuno dei nostri piatti va dai 30 agli 80 euro e ce ne sono alcuni, realizzati a mano da artigiani che devono essere lavati e asciugati a mano uno per uno». Il plongista non si occupa soltanto del lavaggio, manuale o a macchina, delle stoviglie, ma anche delle pulizie e della sanificazione degli ambienti e di tutte le attrezzature. Immaginate, anche solo per un attimo, cosa potrebbe accadere se qualche utensile mal lavato o sanificato trasferisse a un piatto il retrogusto di un’altra lavorazione. E non è tutto. «Velocità e organizzazione sono fondamentali per un plongista», sottolinea l’Ambasciatore Marco Sacco, che de Il piccolo lago a Mergozzo è chef e patron.

«Poter contare su lavapiatti specializzati e di fiducia permette a tutta la brigata di lavorare in tranquillità», continua lo chef piemontese il cui rapporto con il suo plongista di riferimento dura ormai da anni.
Sono tre i plongisti del Ratanà, ristorante milanese di Cesare Battisti, segretario dell’Associazione. «Per me i lavapiatti sono un perno fondamentale del lavoro e parte integrante della squadra – dice Battisti -. Senza di loro il lavoro mancherebbe di fluidità anche perché in una cucina non grandissima c’è la necessita di usare più volte in una serata le stesse pentole e qualora non fossero disponibili tutto il meccanismo s’incepperebbe». «Considero la plonge come un’altra partita e il responsabile di quest’ultima un anello fondamentale di tutto l’ingranaggio della cucina considerando che molte stoviglie devono essere lavate e asciugare a mano per il loro valore», afferma senza esitazione l’Ambasciatore Alessandro Gilmozzi del ristorante El Molin di Cavalese. «Senza Russell – aggiunge – che da sette anni sovrintende al ruolo non mi sentirei sicuro, lui è il primo a entrare e l’ultimo ad andare via. Si occupa di formare i nuovi lavapiatti, sovrintende alla raccolta differenziata che per noi è importantissima».

DA LAVAPIATTI A CHEF? Nel passato, quando la cucina era diversa e la formazione professionale non aveva ancora raggiunto livelli d’eccellenza, entrare in una cucina come lavapiatti era il primo passo verso altri mestieri. Oggi le cose sono decisamente diverse, anche se non mancano storie di chi ce l’ha fatta partendo dalle retrovie imparando il mestiere giorno per giorno.
«Nell’organizzazione di una cucina moderna c’è una differenziazione tra i settori. Se chi si propone in cucina o in sala ambisce a crescere, i lavapiatti solitamente sono donne e uomini del posto che cercano un impiego fisso», dice Marco Sacco che li sceglie tra chi si propone attraverso i curriculum.
«Sono in pochi tra i lavapiatti quelli che vorrebbero entrare in cucina», è d’accordo Cesare Battisti.
Tra coloro che, eccezioni che confermano la regola, ha cambiato posizione c’è Jacky, capo pizzaiolo di uno dei locali di Gilmozzi.
«Jacky arriva dal Bengala, ha cominciato da me come lavapiatti in pizzeria e non si è più fermato. A spingerlo è stata la passione, oggi è il capo pizzaiolo e il mio assistente per i lieviti», conclude Gilmozzi confermando che storie come quella di Sonko, lavapiatti gambiano del Noma diventato socio di René Redzepi, non sono irripetibili.

Mariella Caruso