di Federica Gatto

La capacità di valorizzare le produzioni locali rappresenta da sempre un fattore di elevatissima importanza per lo sviluppo dei sistemi economici e sociali.
In questo contesto la rivalutazione dei prodotti cosiddetti “tipici” è divenuto un aspetto centrale in quanto le conseguenze economiche, sociali e turistiche che essa può produrre sono di risonanza nazionale ed in alcuni casi anche internazionale.

Attraverso il potenziamento dell’indotto legato alle tipicità regionali, infatti, la mera funzione produttiva delle attività viene integrata da nuove e diverse funzioni: la tutela del territorio, la conservazione della cultura e delle tradizioni e la nascita di spazi e luoghi interessati da nuove dinamiche di tipo economico.
Si è assistito nell’ultimo decennio ad una proliferazione di iniziative volte ad affiancare alla produzione agro-alimentare una vasta gamma di servizi (turistici, ricreativi, educativi, formativi) con lo scopo di intercettare e soddisfare nuovi segmenti di consumatori interessati alla fruizione di prodotti al fine di “immergersi” nella cultura dei luoghi e di vivere le esperienze di consumo come occasioni di arricchimento personale e professionale.

La promozione della qualità dei prodotti tipici, quindi, viene messa al centro dell’attenzione non solo dagli operatori economici ma anche dagli amministratori pubblici, i quali li hanno individuati come elementi centrali per mettere in atto strategie di sviluppo. È il caso della legge n. 268 del 27 luglio 1999 che ha disciplinato le strade del vino in Italia. L’obiettivo principale del Legislatore è stato quello di dare valore ai territori a vocazione vitivinicola attraverso un percorso caratterizzato da luoghi di interesse storico-artistico, accoglienza, promozione e commercializzazione dei prodotti tipici. La legge 268/99 ha rappresentato uno strumento normativo di fondamentale importanza capace di creare un vero e proprio turismo enogastronomico per quelle Regioni che hanno saputo sfruttare una risorsa capace di far triplicare il fatturato delle cantine, dei produttori locali e delle strutture ricettive. È del resto unanimemente riconosciuto come i prodotti tipici influenzano e trainano ampiamente lo sviluppo dei territori attraverso il raggiungimento di numerosi benefici socio-economici: aumento dei redditi delle imprese, affermazione di una occupazione qualificata, maggiore vivacità sociale e sviluppo del turismo settorializzato, tutti elementi che contribuiscono a migliorare la sostenibilità economica dei territori di riferimento.

Nella prospettiva del consumatore moderno alla ricerca di continue e nuove emozioni, la domanda di prodotti alimentari si trasforma in domanda di esperienze ed eventi culturali ed è con queste profonde trasformazioni che l’offerta deve misurarsi nelle politiche di prodotto innovative. Negli ultimi anni in Italia sono emerse molteplici iniziative di riqualificazione di prodotti locali tese ad enfatizzare la dimensione esperienziale del loro consumo e dell’offerta. È il caso della Mozzarella di Bufala Campana DOP che ad oggi genera un giro d’affari di un miliardo e duecento diciotto milioni di euro. Dai dati emersi dallo studio condotto dallo Svimez (Associazione per lo sviluppo industriale del mezzogiorno) si evince che per ogni euro di prodotto fatturato dai soci del consorzio di tutela se ne creano 2,1 nel sistema economico locale. Dati sentinella e soprattutto di un certo peso economico che evidenziano quanto sia importante un prodotto per la crescita territoriale.

Analogo discorso vale per il Consorzio di tutela della Ricotta di Bufala DOP nato solo nel 2016 che vede a capo della presidenza il giovanissimo Benito la Vecchia. “Gli obiettivi prefissati dal consorzio”, afferma La Vecchia, “viaggiano sulle strade dell’affermazione nazionale, dello sviluppo e su mirate politiche di promozione per la divulgazione di un prodotto ancora troppo poco conosciuto ma dalle caratteristiche organolettiche e nutrizionali uniche. Nel 2018 sono stati prodotti circa 60.000 kg di ricotta di bufala campana DOP, un dato in crescita per gli anni a venire ma che rappresenta un trampolino di lancio per le zone di produzione (Campania, Lazio, Puglia e Molise) che stanno puntando tutto sulla crescita qualitativa di un prodotto certificato cercando di limitare sempre più la commercializzazione di prodotti paralleli e sprovvisti del marchio di tutela”. Secondo il Presidente, le imprese, soprattutto quelle di minori dimensione situate in territori a volte svantaggiati e marginali, intravedono nei prodotti tipici la possibilità di trovare un nuovo spazio di competitività nei confronti di mercati sempre più concorrenziali e l’opportunità di recuperare il valore aggiunto che l’industria e la distribuzione moderna hanno nel tempo limitato.

È bene sottolineare come l’enogastronomia negli ultimi anni abbia assunto un ruolo centrale anche nelle aspettative e nelle motivazioni stesse dei viaggiatori, fintanto da immaginare un processo di “patrimonializzazione” delle specialità locali trasformandole in un valore economico. In questo scenario, il lavoro di ricerca e trasformazione dei cuochi oltre ad essere una piacevole attività sensoriale, si trasforma in un fattore di attrazione e uno strumento di marketing turistico. Il prodotto alimentare, in altri termini, diviene punto di unione tra l’autenticità di un territorio reinterpretato nelle cucine e il turista, sempre più desideroso di proposte genuine partecipative e strettamente collegate alle specificità del posto che visita. Inoltre sia i consumatori moderni che gli operatori del settore enogastronomico, sono sempre più alla ricerca di prodotti capaci di soddisfare esigenze di varietà, di novità e di elevati livelli di genuinità, imponendo all’offerta politiche di differenziazione nel rispetto di elevati standard qualitativi sotto il profilo della sicurezza e della salute alimentare.

Da questo punto di vista le produzioni tipiche consentono di soddisfare meglio tali requisiti, disponendo di aspetti di unicità e di differenziazione intrinseca di gran lunga più rilevanti di quelli di origine più “industriale”. Si tratta di prodotti che permettono dapprima ai cuochi e poi ai consumatori di uscire dai modelli di consumo omologanti della società contemporanea, dando loro l’opportunità di affermarsi, di distinguersi e, in certo modo, di emanciparsi da comportamenti massificati ed anonimi.