Gli Ambasciatori del Gusto in prima linea per «Fare Formazione»

Ci sono cene e cene. A Milano domenica 28 ottobre, da Carlo e Camilla in Segheria l’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto ne ha organizzata una con uno scopo ben preciso: raccogliere fondi per finanziare il secondo anno del progetto Fare Formazione in corso al Centro di Formazione Professionale Alberghiero di Amatrice. Avviata nel 2017 per aiutare la scuola che faceva i conti con un calo di iscrizioni a causa del trasloco forzato a Rieti per l’inagibilità dei locali danneggiati dal terremoto dell’estate 2016, l’iniziativa ha visto gli Ambasciatori del Gusto in prima linea come “docenti per un giorno” per gli studenti del quarto anno. Un impegno che avrà un seguito nei prossimi mesi grazie ai fondi raccolti dagli Ambasciatori del Gusto pronti a mettersi a disposizione per una cena che è stata come una “festa di famiglia”.

«È importante sensibilizzare la gente a comprendere che la formazione è la base del nostro lavoro. I ragazzi degli istituti alberghieri sono i futuri lavoratori del nostro settore e incrementare la loro professionalità attraverso percorsi mirati è importante per tutto il comparto», ha spiegato Carlo Cracco. Lo chef vicentino, dopo essere stato impegnato in prima persona al Cfp di Amatrice, ha messo a disposizione per la cena di raccolta fondi gli ambienti di Carlo e Camilla in Segheria, allestiti poi con le attrezzature Zorzi e le stoviglie e i calici messi a disposizione da Chs Group. Al resident chef del locale, il napoletano Luca Pedata, invece, è toccato il compito di preparare, insieme a Cracco, i due piatti della serata: “Uovo, zucca, provola e liquirizia” e “Scialatielli alla curcuma con frutti di mare e tartare di manzo”. «Per me – ammette Pedata – è un onore poter contribuire a questo progetto con due preparazioni che uniscono l’idea della cucina di Cracco e le mie origini».

A curare i piatti di benvenuto sono stati il segretario dell’Associazione Cesare Battisti; Vittorio e Saverio Borgia con Andrea Graziano e Franco Pepe. «È stata una serata importantissima, un momento di solidarietà e di aggregazione che ha fatto da preludio al convegno in cui abbiamo parlato ancora di formazione che è uno dei concetti che sta più a cuore agli Ambasciatori», ha ammesso Battisti che ha scelto di servire i “Mondeghili”, classiche polpette meneghine di carne cotta che un tempo si preparavano con gli scarti, per onorare la tradizione milanese.

 «Essendo una realtà nuova a Milano siamo onorati di dare il nostro contributo», ha continuato Graziano che, orgogliosamente, con i fratelli Borgia ha messo in tavola il “Panel Bred”, «un panino cotto in forno a legna con panelle, mortadella d’asino, limone e pepe nero che onora la tradizione siciliana».
A portare gli ospiti a Napoli è stata la “Scarpetta” di Franco Pepe, «con fiordilatte, fonduta di Grana Padano Dop 12 mesi, composta di tre pomodori e polvere di basilico liofilizzato» cotta nel forno Moretti. «Un forno che aiuta a portare la tradizione della buona pizza nel mondo – ha detto con soddisfazione Pepe – e a poterla condividere per una buona causa come quella della formazione».

Altro protagonista è stato il “Pesce persico trippato” di Riccardo Camanini, diploma di cuoco conseguito all’alberghiero di Darfo Boario Terme. «È bello poter partecipare a un’iniziativa che permetterà ai ragazzi del Cfp di Amatrice di crescere professionalmente. Per loro, e per tutti gli studenti, è importante che durante la loro formazione comprendano anche il significato della valorizzazione del territorio e dei suoi prodotti», ha continuato Camanini, interprete della cucina del suo lago anche con la frittella di persico che, unita alla trippa di baccalà e completata da miele tostato al bergamotto, «è un’evoluzione golosa di un prodotto povero». 

Il territorio è stato il primo ingrediente anche del piatto di Marta Scalabrini che, da buona emiliana, ha preparato “Un tortello di zucca… o quasi”. «Ho messo nel piatto tutti gli ingredienti del tradizionale tortello di zucca, ma senza il tortello», sorride Marta che si è detta «onorata di essersi potuta mettere a disposizione della famiglia degli Ambasciatori».

A servire il pane, accompagnato dall’olio Flaminio di Trevi ottenuto dal raccolto 2018 e dal Grana Padano Dop Riserva 27 mesi, è stato Pascal Barbato, che ha omaggiato Milano e la sua Puglia unendole idealmente nel suo “Sky-Bread, la Puglia incontra Milano”, uno skyline realizzato con diversi tipi di pane che rientra nel progetto “Paesaggio al dente” che porta avanti con lo studio di architettura Ddum. «Anche i prodotti della panificazione – ha ammesso – sono entrati nell’Olimpo delle eccellenze italiane ed è bello poterli rappresentare qui come Ambasciatore».

Il dolce, infine, è stato preparato dal Maestro netino Corrado Assenza. «Il “Dolce autunno” che ho preparato ha a che fare con la stagionalità e con la ristorazione: ci sono tanta frutta, molti profumi, poco zucchero aggiunti, tanti zuccheri naturali e, ovviamente, poche calorie come da Manifesto della nuova pasticceria italiana», ha spiegato Assenza che crede fermamente nella formazione, «un obbligo che i più grandi hanno nei confronti dei giovani ai quali deve essere trasferito anche lo spirito di abnegazione».

A completare la serata, realizzata anche grazie alla partecipazione di tutti gli sponsor dell’Associazione, sono stati i cocktail preparati con il Gilbach Gin dell’Ambasciatore Alessandro Gilmozzi e da Andreas Bachmann e i vini di Berlucchi, Allegrini e Santa Margherita.

Mariella Caruso


Le cucine Berto's conquistano il mondo grazie all'artigianalità italiana

Tra le realizzazioni di Berto’s, azienda veneta che realizza cucine professionali, ci sono quelle per la casa dei Reali di Spagna e per lo stadio Josè Alvalade di Lisbona.

«Abbiamo realizzato anche cucine con forni integrati per la cucina Tandoori, cucine con diverse non convenzionali e persino con un espositore per il pesce integrato. Anche se ogni richiesta è particolare, per la sua stessa natura», spiega Marco Lebiu, direttore commerciale Italia dell’azienda che ha cominciato la sua storia nel 1973. «Il commendator Giorgio Berto fondò una società chiamata Candor che produceva attrezzature per la cottura e per il lavaggio – continua Lebiu -. Nel 1983 fu cambiata la denominazione e divenne Berto’s».

La cucina intesa come “strumento di lavoro”, insieme agli ingredienti, è fondamentale nel lavoro dello chef. Come nascono le vostre?

«Dal confronto quotidiano con gli stessi chef e le loro esigenze. Abbiamo un rapporto molto stretto con loro che, spesso, organizzano sessioni di allenamento presso la nostra cucina laboratorio, ma anche con i nostri distributori che sono preziosi partner nel comprendere i cambiamenti sempre più rapidi del mercato».

In che modo combinate le caratteristiche delle vostre cucine e decidete se e come far prevalere l’una o l’altra?

«Ergonomia, sicurezza, comfort, funzionalità e resistenza devono necessariamente convivere. Pensiamo che la sintesi di questi concetti sia sinonimo di qualità ovvero di rispondenza all’uso. Il concetto di qualità è spesso evocato in maniera astratta ma per noi la qualità è sempre un fatto molto concreto e reale».

Quando e come avete cominciato la vostra collaborazione con gli chef come Antonino Cannavacciuolo, Moreno Cedroni e Giancarlo Perbellini che utilizzano le vostre cucine?

«La nostra mission è sempre stata quella di soddisfare le esigenze di ogni singolo cliente. Creare, quindi, qualcosa di assolutamente personale e coniugare progettualità industriale orientata alla “lean philosophy” con la realizzazione artigianale. Questo nostro pensiero ha incontrato, ormai da molti anni, il favore di grandi chef stellati che desideravano potersi esprimere liberamente anche attraverso l’ideazione e la realizzazione concreta della “loro” cucina. La loro arte deve potersi esprimere anche attraverso la creazione di una cucina unica. Per questo abbiamo chiamato la nostra linea di prodotti personalizzati “LaCucina”. Perché una cucina non può essere una scelta qualunque ma deve essere la scelta personale di ognuno».

Come lavorate alle soluzioni su misura?

«Per realizzare una soluzione su misura bisogna partire necessariamente dal primo passo: ascoltare. Gli chef sono persone con esigenze personali e il nostro modus operandi è stato sempre quello di ascoltare le persone e parlare al loro cuore: una cucina non potrà mai essere solo in modo razionale, ma dovrà essere realizzata anche guardando alle persone, ai loro sogni, al loro mondo».

Come declinate la vostra attenzione per l’etica e l’ambiente?

«La nostra scelta è sempre stata quella di fare impresa in maniera etica. Cura delle esigenze del personale con un avanzato sistema di welfare che prevede fino a diciotto orari lavorativi diversi, contributi alle famiglie dei lavorati, borse di studio, convenzioni con assicurazioni, librerie e fornitori. Inoltre è assolutamente prioritario la cura dell’ambiente e l’impronta che, come azienda, lasciamo. Tutto ciò ci ha portato a conseguire la certificazione etica OHSAS 18001 che prevede anche l’adozione di un codice etico che viene rispettato da tutto il personale Berto’s, senza alcuna eccezione».

Mariella Caruso


A scuola si deve insegnare la dedizione al lavoro

Cinque assaggi tra cui “Macaron salvia e rosmarino con ganache di paté alla toscana e grue di fave di cacao”, due primi tra cui “Toffette Pastificio dei Campi con spuma di zucca, amaretti e mostarda di pere, con ragù di salsiccia e nuvola di Grana Padano Riserva” e per dolce il Mont Blanc. È il menu del pranzo che sarà offerto lunedì 29 ottobre tra le due sessioni mattutine e quella pomeridiana del Convegno annuale dell’Associazione italiana Ambasciatori del Gusto in programma all’Ipseoa Carlo Porta di Milano dal titolo Prima la Formazione. A preparare tutte le pietanze sarà una brigata d’eccezione formata dagli studenti dell’Ipseoa Carlo Porta guidata per l’occasione da Eugenio Boer nella doppia veste di Ambasciatore del Gusto e collaboratore dello stesso istituto. «Lo spirito con cui affronto questo impegno è la condivisione del mio sapere con gli studenti. Io credo tantissimo nella formazione scolastica e nella crescita dei ragazzi e sono felice quando posso fare qualcosa per contribuire alla loro passione in questo primo momento della vita», attacca Eugenio Boer, padre olandese e mamma italiana.

Come sta preparando questo servizio con i ragazzi?

«In maniera molto tranquilla, conosco già la maggior parte di loro che sono miei studenti. Sono sicuro che lavoreremo molto bene».

Lei è entrato in cucina a 12 anni, un inizio molto precoce.

«Che ho condiviso con gli studi all’istituto tecnico commerciale per prendere il diploma di ragionere. Ho cominciato per passione nel ristorante di amici di famiglia a Sestri Levante e mi considero un fortunato perché ho trovato molto presto la mia strada e l’ho seguita e so che non c’è cosa peggiore che fare ciò che vogliono gli altri invece di ciò che si desidera».

Però si è diplomato in Ragioneria.

«Quello è stata la volontà di mio padre che, naturalmente, vedendomi così giovane non poteva essere sicuro che non avrei cambiato idea. Però, non mi ha impedito di fare nello stesso tempo quello che volevo io. Il suo punto di vista era: “Puoi fare ciò che vuoi se fai ciò che voglio io”. Ci siamo stretti la mano e io ho continuato a vivere la vita del ristorante mentre studiavo».

Considerando che il convegno tratta di formazione, lei cosa pensa si dovrebbe insegnare ai ragazzi in un istituto alberghiero?

«La dedizione al lavoro che è molto più importante della passione. La passione non è quella che ti fa alzare tutte le mattine, a spingerti verso un obiettivo e a far bene il lavoro nell’ambito della gastronomia è la dedizione. Il nostro è un lavoro molto particolare perché riguarda il servire il prossimo, nel senso nobile del termine. Chi lavora in sala o in cucina deve essere felice di accogliere, sempre. A scuola va insegnato che quando gli altri si divertono, tu lavori e bisogna essere contenti di poter soddisfare i propri clienti».

Quali sono le caratteristiche di un buon cuoco?

«Il cuoco deve essere curioso, ma deve conoscere pedissequamente le ricette della tradizione. Deve avere dei palloncini che lo fanno volare, ma un chilo d’oro che lo tiene legato alle tradizioni. Io, per esempio, non avendo delle tradizioni personali molto radicate, starei per ore ad ascoltare chi mi mette a parte delle sue conoscenze sulla storia della cucina».

Quali sono, invece, le competenze che devono essere apprese a scuola?

«La conoscenza delle materie prime, le tecniche di taglio, le basi della cucina, ovvero tutte quelle cose che ti permettono di poter cominciare al meglio il percorso professionale nel mondo della ristorazione. Se uno chef in cucina chiede un taglio a bâtonnet o un prezzemolo riccio non deve spiegare, ma sentirsi dire “Sì chef”».

Mariella Caruso


Fare Formazione, esperienza entusiasmante per i nostri studenti

Si chiama Fare Formazione il progetto dell’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto che ha come obiettivo il miglioramento del programma didattico e l’aggiornamento dei metodi d’insegnamento delle scuole e degli istituti alberghieri e valorizzazione enogastronomica del territorio. Per finanziare il progetto, che è stato avviato lo scorso anno scolastico al Centro di Formazione Professionale alberghiero di Amatrice, domenica 28 ottobre a Milano, è stata organizzata una cena di beneficenza. L’appuntamento è alle ore 20.00 da Carlo e Camilla in Segheria a Milano (offerte da 100 euro a persona in su, con prenotazione obbligatoria a segreteria@ambasciatoridelgusto.it).

A mettersi in gioco saranno gli Ambasciatori Cesare Battisti, Andrea Graziano e i fratelli Vittorio e Saverio Borgia agli antipasti; il padrone di casa Carlo Cracco con lo chef del ristorante Luca Pedata, Carlo Camanini e Marta Scalabrini ai piatti principali; Franco Pepe alla pizza, Pascal Barbato al pane e Corrado Assenza al dolce.

L’impegno degli chef ai fornelli sarà dedicato ai ragazzi del quarto anno sperimentale del CFP di Amatrice che già lo scorso anno scolastico hanno sperimentato il progetto grazie a Carlo Cracco, Renato Bosco, i fratelli Serva, Marco Stabile, Mariella Caputo e Marco Reitano diventati docenti per un giorno. Le loro lezioni sono state il cuore di Fare Formazione con il quale l’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto si è impegnata per un triennio a dare una mano alla scuola perché costretta a spostare temporaneamente la propria sede a Rieti a causa del terremoto del 2016. A finanziare il primo anno del progetto, definito «più che positivo» dalla direttrice del CFP di Amatrice Anna Fratini, era stata un’altra cena di raccolta fondi organizzata un anno fa all’Open Colonna nella quale gli Ambasciatori del Gusto reinterpretarono l’amatriciana.

«Memori della bella esperienza di un anno fa, gli studenti aspettano con ansia di partecipare alle lezioni di questi docenti speciali che hanno messo a disposizione non solo le loro conoscenze tecniche, ma anche il loro bagaglio di vita facendo nascere nei ragazzi un entusiasmo che solo professionisti del loro calibro potevano suscitare», sottolinea Fratini che, come coordinatrice del progetto ha tenuto i rapporti con l’Associazione. «Ascoltare le loro storie – continua – sapere che molti chef oggi famosi sono partiti dal basso, ha fatto capire agli studenti che anche loro possono ambire a qualcosa di importante».

«È stata un’esperienza davvero significativa per i ragazzi che frequentano il nostro Centro, non tanto per il fatto che si sono trovati davanti chef che avevano visto in televisione o di cui conoscevano la fama, ma perché quegli chef sono andati oltre la classica lezione facendo capire loro che l’impegno paga», spiega il direttore Istituzione Formativa Rieti Fabio Barberi che sarà anche tra gli ospiti del convegno organizzato dall’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto Prima la Formazione in programma il 29 ottobre all’Ipseoa Carlo Porta di Milano. Un’esperienza, quella di Fare Formazione, che Barberi consiglierebbe ad altre scuole. «Si tratta di un percorso davvero valido per i ragazzi che vogliono intraprendere un mestiere nell’ambito della ristorazione e siamo felici di aver fatto da apripista e di poter proseguire questo percorso», ammette Barberi. «Sono convinto, infine, che confrontarsi con ragazzi così giovani che aspirano a fare il loro stesso mestiere sia stata una bella esperienza anche per gli stessi chef e professionisti. A testimoniarlo anche il fatto che Renato Bosco – conclude – abbia voluto con sé come assistenti a Identità Golose alcuni dei nostri studenti».

Mariella Caruso

 


Formazione: gli Ambasciatori aiutino a codificare metodo e tecniche italiane

«Un triennio formativo per ottenere la qualifica di Operatore di gastronomia e arte bianca e assolvere l’obbligo scolastico; un quarto anno di alternanza scuola-lavoro con il 60% del tempo in azienda e il 40% in aula; un quinto anno che consente l’accesso all’Università e al Centro di Alta Formazione che forma figure altamente specializzate nel settore della ristorazione con il corso biennale per Tecnico superiore di cucina e ristorazione con i due indirizzi “Alta Ristorazione” e “Cucina italiana e Arte Bianca”». È questa l’organizzazione del Centro di Formazione Professionale Enaip di Tione di Trento, spiega Laura Fratton, coordinatrice del settore Alberghiero e Alta Formazione di cucina e della ristorazione del Cfp. «In Trentino non ci sono istituti alberghieri di Stato e la Provincia Autonoma di Trento ha supplito con Cfp in tutti i comprensori più importanti», continua Fratton che lunedì 29 ottobre all’Istituto alberghiero Carlo Porta di Milano parteciperà a Prima la Formazione, convegno annuale dell’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, intervenendo alla tavola rotonda “Un’offerta formativa pronta alle professionalità del futuro”.

Professoressa Fratton, il sistema trentino per la formazione in ambito gastronomico funziona?

«Sì, la Provincia di Trento ha voluto privilegiare un sistema altamente professionalizzante. La caratteristica è un piano di studio che si adegua al mercato del lavoro e alle competenze che servono nel mondo del lavoro».

Ci fa qualche esempio?

«Durante il quarto anno il corso di studi comprende la comunicazione perché l’evoluzione dei saperi in linea con ciò che è davvero utile nel futuro degli studenti è fondamentale».

Secondo lei il sistema trentino potrebbe essere portato ad esempio per la formazione in ambito gastronomico?

«Direi di sì, in molti sono venuti a osservare il sistema. Al momento c’è la criticità dell’obbligatorietà della frequenza del quinto anno per l’accesso all’alta formazione che, fino a poco tempo fa, non era necessaria. Se si potesse conseguire un diploma professionale al quarto anno come nella maggior parte dei paesi europei ed extraeuropei tutto sarebbe più lineare. Questo dovrebbe sposare il fatto che ai ragazzi occorre dare professionalità in linea con le reali necessità».

Da responsabile delle selezioni per l’ammissione al Centro di Alta Formazione di cucina e della ristorazione dell’Enaip di Tione di Trento non riscontra queste professionalità?

«I ragazzi che chiedono di essere ammessi all’Alta Formazione arrivano da tutta Italia. Non c’è mai stata differenza dal punto di vista culturale tra chi arrivava con un diploma in tasca e i nostri ragazzi che avevano alle spalle quattro anni di studio, ma i ragazzi del nostro Centro hanno delle competenze professionali più elevate. All’inizio i “nuovi” soffrono, ma in poco tempo riusciamo a riallineare i saperi».

Di cosa avrebbe bisogno, in Italia, la formazione odierna in ambito gastronomico?

«Di una focalizzazione sul metodo e sull’organizzazione. Accanto alla tecnica della cucina, della pasticceria, della panificazione occorre una formazione manageriale: dal food cost in poi che all’Enaip di Tione di Trento consideriamo fondamentale».

In che modo armonizzate i vostri programmi di studio con le necessità del mondo del lavoro?

«Da anni abbiamo rapporti costanti con aziende ed è fondamentale anche il riscontro degli studenti durante il quarto anno di alternanza. Sono convinta che per fare una buona scuola occorre guardare avanti sia sotto il profilo dei programmi, ma anche della didattica, del metodo di insegnamento. Non si può insegnare allo stesso modo di venti e nemmeno di dieci anni fa, ci si deve evolvere. Purtroppo, invece, la scuola tende a ripetersi».

Voi riuscite a farlo grazie alla vostra autonomia?

«No, tutti gli istituti potrebbero farlo. Pilotare l’innovazione nella scuola, però, è molto complicato e richiede tempo».


Come è organizzata la vostra Alta Formazione?

«Dura due anni e per ogni 12 mesi gli studenti ne trascorrono 6 in azienda e 6 in aula dove i docenti sono professionisti del settore, da Alfio Ghezzi con cui abbiamo progettato la parte tecnica, fino a Piergiorgio Giorilli e Andrea Tortora solo per citarne alcuni».

Durante gli stage e i tirocini riscontrare criticità nella gestione degli orari o di altro genere?

«Gli stage orientativi non danno particolari problemi perché si tratta di periodi brevi, non abbiamo problemi nemmeno con l’Alta Formazione perché si tratta già di studenti che hanno già identificato il loro percorso. Qualche piccola criticità può esserci nei tirocini del quarto anno, anche se noi oltre che tecnicamente prepariamo psicologicamente i ragazzi all’ingresso in un mondo diverso e non edulcorato e lavoriamo molto sugli abbinamenti. Detto questo i più grandi problemi arrivano dalle madri che, in genere, sono meno preparate dei figli al distacco».

Quale potrebbe essere il contributo dell’Associazione Ambasciatori del Gusto nell’ambito della formazione?

«Al di là di un progetto valido come “Fare formazione” con gli Ambasciatori che portano le loro conoscenze nelle scuole, secondo me l’Associazione potrebbe contribuire alla codifica di un metodo e delle tecniche italiane. Per quanto mi riguarda mi infastidisce che tutti considerino fondamentale nella formazione un passaggio nelle cucine francesi per apprendere il loro “metodo”, penso sia arrivato il momento di averne uno nostro».

Mariella Caruso


Scuola e chef si alleino per ridisegnare finalmente il quadro delle competenze

Sarà l’aula magna dell’Ipseoa Carlo Porta di Milano a ospitare LUNEDI’ 29 OTTOBRE il secondo convegno nazionale dell’Associazione italiana Ambasciatori del Gusto. Un luogo simbolico perché il convegno s’intitola Prima la formazione e i temi sul tavolo sono quelli della formazione scolastica che è pane quotidiano per l’istituto milanese e per la sua dirigente Rossana di Gennaro.

Rossana di Gennaro

«Siamo felici di ospitare il convegno che è indirizzato alla formazione ed è importante per instaurare una collaborazione più stretta tra le istituzioni scolastiche e il mondo del lavoro al fine di disegnare il quadro delle competenze utili ai ragazzi e, quindi, cosa è meglio insegnare già in ambiente scolastico. Dall’altra parte anche noi avremo la possibilità di dare qualche input su cosa i ragazzi sono in grado di fare sia al termine del percorso di studi, sia in fase di tirocinio», attacca la dirigente del Carlo Porta in cui gli studenti sono distribuiti su tre indirizzi: enogastronomico (con cucina e pasticceria che seguono percorsi diversi), sala e vendita bar e accoglienza turistica.

Come si conciliano le esigenze del mondo del lavoro con i programmi di un istituto professionale statale?

«Con la riforma degli istituti professionali non si parla più di programmi, ma di competenze da raggiungere al termine di un quinquennio. Come arrivare all’acquisizione delle competenze è lasciato alla discrezionalità della scuola che deve lavorare su attività e progetti, teorici e pratici utili al raggiungimento delle competenze richieste».

L’alternanza scuola-lavoro è uno dei nuovi strumenti utilizzati per raggiungere le competenze. È stato difficile adeguarsi alla normativa?

«Per la nostra scuola, e in generale per gli istituti professionali alberghieri, non è stato difficile adeguarsi alla normativa perché gli stage aziendali hanno sempre fatto parte del percorso scolastico. Al Carlo Porta, per esempio, gli studenti fanno 600 ore di alternanza che sono molte di più delle 400 che prevede la normativa. Spesso non riusciamo nemmeno a soddisfare tutte le richieste delle aziende con le quali abbiamo in essere le convenzioni che prevedono l’assicurazione per il ragazzo e la presenza del tutor».

Quali sono le criticità del sistema in ambito ristorativo nel quale gli orari scolastici spesso non sono compatibili con quelli del servizio?

«Ci sono due tipi di alternanza, quella fatta durante il periodo scolastico che è sostitutiva del giorno di lezione, questo significa che se la sua giornata scolastica inizia alle 8 e finisce alle 14 anche quella fuori dall’istituto segue gli stessi orari. Un’altra questione è quella del tirocinio che si fa durante il periodo estivo durante il quale la giornata lavorativa si fa nella sua completezza. In quel caso ci sono delle lamentele nei confronti di azienda che fanno lavorare i ragazzi troppo. Da una parte i ragazzi capiscono come funziona il mondo del lavoro. Sottoporli a giornate di lavoro che vanno oltre le 8/9 ore anche serali non è giusto, così come non lo è per tutti gli altri lavoratori».

Questo è uno dei temi che si dovrebbero affrontare?

«No, questo rientra nei temi generali dell’etica e della correttezza».

Partendo dall’esperienza del “Carlo Porta”, quali potrebbero essere le questioni da portare all’attenzione del convegno?

«Per gli studenti che concludono il ciclo di studi nel nostro istituto la percentuale di occupazione è di circa il 70%, molti di loro restano nell’azienda in cui fanno il loro tirocinio. Secondo il mio personale punto di vista un istituto alberghiero non deve dare solo conoscenze di tipo professionale come saper usare un coltello o preparare gli gnocchi, ma anche competenze generali come la conoscenza delle lingue straniere insieme, l’apprendimento di un metodo di studio utile nel caso del proseguimento dell’attività di formazione e la consapevolezza nella scelta del giusto percorso oltre a quelle che io chiamo competenza di cittadinanza, ovvero la conoscenza di diritti e doveri utili e come orizzontarsi nel mondo post-scolastico».

Negli istituti alberghieri, oggi, esiste un problema di vetustà delle attrezzatura?

«Diciamo che a me piacerebbe che il mio studente sapesse utilizzare la friggitrice di ultima generazione, ma considerando che l’istituto non può permettersela è importante che chi si forma abbia le competenze per poter approcciarsi nella maniera giusta agli strumenti e comprendere come si usa».

Cosa chiederebbe alle associazioni professionali che partecipano al convegno “Prima la formazione”?

«Una collaborazione che ci aiuti a far raggiungere ai ragazzi le competenze richieste dal Ministero. Si tratta di qualcosa che la scuola da sola non può fare e di cui le aziende non possono farsi carico perché hanno bisogno di personale formato. Nella fattispecie mi piacerebbe che nel profilo di competenze di ritorno alla fine di ogni stage ci siano anche indicazioni sulle capacità di lavoro in gruppo, di responsabilizzazione o di problem solving, non solo se il ragazzo ha imparato a usare l’affettatrice, è puntuale o sappia affettare le patate sottili. Competenze, del resto, utili anche ai futuri datori di lavoro degli studenti».

Mariella Caruso


L'ospitalità passa anche per lo stile e il design della tavola

«La missione che ci siamo dati è la valorizzazione dell’ospitalità italiana. Per questo selezioniamo i migliori prodotti e le soluzioni più moderne per promuovere lo stile e il design sulla tavola». A parlare è Carlo Scalabrini, amministratore delegato di CHS Group, azienda familiare di Soresina, nel Cremonese, che dal 1999 si occupa «di importazione di prodotti dall’estero per la distribuzione sul mercato italiano  esclusivamente nel settore Ho.Re.Ca.».

Alta qualità nei prodotti selezionati in tutto il mondo, cinque showroom a Milano, Torino, Brescia, Monza e Catania e diciotto agenti che forniscono anche attività di consulenza a chef e proprietari di locali. «I nostri agenti, tutti appositamente formati e alcuni con un passato nel mondo della ristorazione – continua Scalabrini -, cercano di intercettare le esigenze e i problemi del cliente e proporre la soluzione più adeguata alle sue necessità».

A fare la differenza tra la CHS Group e le altre del settore sta nel fatto che l’azienda fondata dal padre di Carlo Scalabrini non “rappresenta” altre realtà, ma acquista e stocca in Italia i prodotti accuratamente selezionati tra le eccellenze in giro per il mondo. «Noi ci prefiggiamo di fornire un servizio, oltre che un prodotto: per questa ragione selezioniamo nelle migliori fiere internazionali di settore, acquistiamo, stocchiamo nei nostri magazzini e consegniamo in 24/48 ore. Uniamo, così, una ricerca accurata e dedicata alle esigenze di un mondo costantemente in evoluzione, a un servizio just in time per garantire al nostro cliente una fornitura precisa e puntuale. Tutto questo è possibile anche grazie al network di fabbricanti e importatori con cui abbiamo stretto partnership e collaborazioni».

I PRODOTTI. A selezionare i prodotti è lo stesso Carlo Scalabrini. «A guidarmi nella scelta sono da una parte le tendenze del mondo della ristorazione e dall’altra gli stimoli degli stessi chef che ormai sono dei giramondo. Capita, infatti, che mi portino la fotografia di un piatto o una posata che hanno visto da qualche parte – dice -. Dal canto mio visito almeno 10/12 fiere tra le più importanti, in particolar modo quelle del Nordeuropa e il Sirha di Parigi che, generalmente, dettano i trend». Tra le linee arrivate in Italia per merito di CHS Group, per esempio, ci sono le stoviglie monouso della francese Comatec che sono di altissimo design, realizzate sempre più con una grande attenzione all’ambiente ».

I CLIENTI. L’occhio di riguardo per l’ambiente è importante per CHS Group, così come la valorizzazione delle aziende italiane annoverate tra i loro clienti che, ovviamente, dice Scalabrini, «sono eterogenei e con esigenze differenti che si manifestano in acquisti e richieste diverse fra loro. Il cliente tradizionale nelle stoviglie cerca funzionalità, sicurezza e resistenza; quello di alta cucina si sofferma sui materiali e le finiture».

IL FUTURO. Sono tre gli ambiti, in aggiunta al business tradizionale, sui quali CHS Group ha deciso di puntare: il monouso, il take away e i buffet. «I servizi di food delivery stanno aumentando esponenzialmente e i locali credono sempre di più a questo tipo di integrazione del fatturato. Per questo servono linee che permettano di confezionare un prodotto destinato alla consegna», spiega. Poi c’è la stoviglia monouso che deve essere sempre più biodegradabile. «In quest’ultimo caso con Comatec che, sempre più cerca di accantonare l’usa e getta in plastica privilegiando altri materiali, abbiamo un rapporto di partnership importante. Infine – conclude Scalabrini – c’è “il buffet” che è sempre più importante nell’economia negli hotel. Basti pensare che di un soggiorno in albergo sono due le cose che si ricordano: la comodità del letto e la prima colazione. E in quel caso la disposizione e la presentazione, indubbiamente, fanno la loro parte».

 

Mariella Caruso


Prima la Formazione

PROGRAMMA
Lunedì 29 ottobre 2018 | Dalle 9.30 alle 16.30
ISPEOA ‘Carlo Porta’ – via Uruguay 26/2, Milano

09.00 Registrazione e welcome coffee a cura degli studenti dell’Istituto ‘Carlo Porta’

09.25 Saluti di benvenuto
Cristina Bowerman, Presidente Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto

09.30 L’importanza della formazione
Moderatore: Paolo Marchi, Vicepresidente Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto
Fabrizio Proietti, Dirigente Ufficio IV, Direzione Generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione, MIUR
Melania Rizzoli, Assessore all’istruzione, formazione, lavoro della Regione Lombardia
Anna Scavuzzo, Vicesindaco e Assessore alla Sicurezza del Comune di Milano
Rossana di Gennaro, Dirigente scolastico IPSEOA ‘Carlo Porta’

10.15 La scuola alberghiera oggi
Moderatore: Eleonora Cozzella, Giornalista
Fabio Barberi, Direttore Istituzione Formativa Rieti
Cristina Bowerman, Presidente Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto
Salvatore Bruno, Segretario Generale Federazione Italiana Cuochi
Fabrizio Proietti, Dirigente Ufficio IV, Direzione Generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione, MIUR
Marco Reitano, Presidente Noi di Sala
Annamaria Zilli, Presidente Rete Nazionale Istituti Alberghieri

12.30 – 14.00 Intervallo
Pranzo curato dallo chef Eugenio Boer e realizzato insieme agli studenti dell’Istituto ‘Carlo Porta’
Coffee break a cura degli studenti dell’Istituto ‘Carlo Porta’

14.15 Un’offerta formativa pronta alle professionalità del futuro
Moderatore: Luca Govoni, Docente di Storia e cultura della gastronomia e della cucina italiana, ALMA
Paolo Barrale, Presidente Charming Italian Chef
Rossana di Gennaro, Dirigente scolastico IPSEOA “Carlo Porta”
Laura Fratton, Coordinatrice Settore Alberghiero e Alta Formazione di cucina e della ristorazione ENAIP di Tione di Trento.
Chiara Frigeni, Coordinatrice Formazione Professionale In-Presa cooperativa sociale
Luca Marchini, Presidente Jeunes Restaurateurs d’Europe
Rossella Mengucci, Dirigente scolastico presso la Direzione Generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione, MIUR
Antonio Santini, Delegato per l’estero Les Grandes Tables du Monde e Vicepresidente Associazione Le Soste

16.30 Conclusioni e saluti
Cristina Bowerman, Presidente Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto


La formazione degli studenti viene prima di tutto

Quanto è importante la formazione per i futuri attori della ristorazione italiana? La risposta è una sola: la formazione è fondamentale. Ma i nodi da sciogliere sono ancora tanti sia per quanto riguarda il riconoscimento del suo valore, sia perché occorre comprendere quali siano le competenze utili in un mondo della ristorazione in continuo cambiamento. Ci si chiede, inoltre, come le scuole alberghiere italiane possano fornire agli studenti le giuste professionalità per l’inserimento nel mondo del lavoro.

Questi temi saranno al centro del dibattito in occasione di Prima la Formazione, secondo convegno nazionale degli Ambasciatori del Gusto che si riuniranno a Milano lunedì 29 ottobre, dalle 9 alle 16.30, presso l’Istituto professionale servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera (Ipseoa) Carlo Porta. Una sede che, dati gli argomenti del dibattito, non è stata scelta a caso. Se, infatti, un anno fa in occasione del primo convegno nazionale l’Associazione italiana Ambasciatori del Gusto ha discusso a Roma di fiscalità e formazione nel mondo della ristorazione e di valore del Made in Italy nell’agroalimentare, a poco più di dodici mesi gli Ambasciatori hanno deciso di focalizzare l’attenzione sulla formazione in ambito scolastico, in un luogo simbolico come quello di un istituto alberghiero. L’argomento, inoltre, è coerente con il lavoro svolto dall’Associazione che nell’ultimo anno ha attivato (e finanziato con raccolte fondi ad hoc) il progetto “Fare formazione” con l’Istituto Alberghiero di Amatrice e firmato una convenzione con la rete Renaia per sviluppare iniziative con altri istituti scolastici.

«Questo convegno dedicato alla formazione è un appuntamento importante per consolidare un rapporto costante e costruttivo con le istituzioni, che hanno accolto con entusiasmo il nostro appello, per far crescere in modo responsabile le risorse della ristorazione», afferma la presidente di Ambasciatori del Gusto, Cristina Bowerman. «La missione dell’Associazione infatti, parte dalla consapevolezza che raccontare e valorizzare l’eccellenza enogastronomica italiana significa contribuire, in sinergia con le Istituzioni, allo sviluppo del Paese. Crediamo che formare nel miglior modo possibile i protagonisti della cucina di qualità di domani sia il primo passo per porre fondamenta solide nel nostro settore. Spesso nelle scuole professionali nazionali – argomenta la chef – la parte teorica viene privilegiata a quella pratica, anche per questioni logistiche ed economiche e solo quando i ragazzi si inseriscono in un contesto lavorativo reale hanno finalmente l’opportunità di arricchire il proprio percorso di studi con un’esperienza sul campo, al fianco di professionisti da cui poter imparare. Con l’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, abbiamo realizzato un importante progetto di formazione triennale nel campo della formazione insieme all’Istituto Alberghiero di Amatrice, oggi a Rieti, con l’obiettivo di valorizzare la cucina italiana di qualità e offrire agli studenti un’importante occasione di crescita. Grazie al progetto Fare Formazione abbiamo dato il via a un ciclo di percorsi formativi d’eccellenza che ha impegnato gli Ambasciatori del Gusto in prima linea nell’attività didattica, con moduli tematici, dedicati agli studenti del quarto anno di specializzazione, con attività sia teoriche che pratiche, per sfruttare appieno il contributo e le testimonianze dei nostri esperti del settore».

Saranno tre le sessioni di lavoro del convegno – “L’importanza della formazione”, “La scuola alberghiera oggi” e “Un’offerta formativa pronta alle professionalità del futuro” – il cui scopo è innescare e facilitare il dialogo tra chi si occupa della formazione alberghiera di base, quella degli studenti per intenderci, le istituzioni e le principali associazioni che riuniscono i professionisti della ristorazione, ovvero chi opera in cucina e in sala.

A dare il via alla prima sessione sarà Paolo Marchi, il vicepresidente di Ambasciatori del Gusto, che avrà il compito di moderare la discussione sull’importanza stessa della formazione. A discutere con lui la padrona di casa, Rossana di Gennaro, dirigente scolastico del Carlo Porta insieme a Fabrizio Proietti della Direzione Generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione 
del Miur, all’assessore all’istruzione, formazione e lavoro della Regione Lombardia, Melania Rizzoli, e al vicesindaco di Milano Anna Scavuzzo.

La giornalista Eleonora Cozzella sarà la coordinatrice del dibattito “La scuola alberghiera oggi”. A fare il punto sullo stato dell’arte saranno Fabio Barberi, direttore dell’Istituzione formativa Rieti dove è in essere il progetto Fare Formazione degli Ambasciatori del Gusto; Fabrizio Proietti del Miur; Annamaria Zilli, presidente di Renaia con la quale gli Ambasciatori del Gusto hanno firmato un protocollo d’intesa in tema di formazione; Marco Reitano, presidente di Noi di Sala e la stessa presidente di Ambasciatori del Gusto Cristina Bowerman.

Nel pomeriggio, dopo il pranzo curato da Eugenio Boer con i ragazzi dell’istituto Porta, l’ultima sessione di lavoro sull’offerta formativa più consona agli studenti, sarà moderata dal docente di Storia cultura della gastronomia e della cucina italiana all’Alma, Luca Govoni. Parteciperanno al dibattito, aperto ai contributi della sala, i rappresentanti delle maggiori associazioni di settore in Italia con alcuni responsabili di istituzioni scolastiche. Al tavolo Paolo Barrale, presidente di Charming Italian Chef, Luca Marchini, presidente Jeunes Restaurateurs d’Europe, Antonio Santini, delegato per l’estero Les Grandes Tables du Monde e Vicepresidente Associazione Le Soste, la dirigente del “Carlo Porta” Rossana di Gennaro, la coordinatrice del settore Alberghiero e Alta Formazione di cucina e della ristorazione dell’Enaip di Tione di Trento, Laura Fratton, la coordinatrice Formazione Professionale In-Presa cooperativa sociale Chiara Frigeni e Rossella Mengucci, Dirigente scolastico presso la Direzione Generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione, MIUR.

Mariella Caruso


Dal Medioevo ai giorni nostri, l'immortale Grana Padano

Bisogna andare molto indietro nel tempo per risalire alle origini del Grana Padano, uno dei prodotti italiani più esportati nel mondo che, «pur essendo nato 1000 anni fa anni, si adatta alle esigenze dei consumatori del 21° secolo», dice Cesare Baldrighi, attuale presidente del Consorzio Grana Padano.

LA STORIA. «Le prime testimonianze sulle origini del Grana Padano rimandano ai monaci benedettini dell’Abbazia di Chiaravalle, alle porte di Milano, dove intorno al problema della gestione del latte, un bene prezioso ricco di nutrienti che non poteva essere sprecato, si sviluppò un’attività economica», racconta Baldrighi. «Per conservare il latte i monaci svilupparono in modo empirico una tecnologia per trasformazione del latte che è sostanzialmente la stessa che viene ancora utilizzata per la produzione: il latte veniva scremato del 30% di grasso, che veniva venduto per la produzione del burro. Per il latte parzialmente scremato, che era un sottoprodotto, i monaci trovarono un metodo di lavorazione facendolo diventare un antenato di quel Grana che tutti conosciamo», continua il numero uno del Consorzio che riunisce 127 produttori, 147 stagionatori, 101 caseifici con spaccio e 50 esportatori.

COS’È IL GRANA PADANO. Si tratta di un formaggio ottenuto da latte parzialmente scremato molto asciutto, ricco di proteine nobili come la caseina che, però, «essendo già stata in parte digerita dalle fermentazioni batteriche in fase di caseificazione diventa molto più digeribile. Il Grana Padano è adatto anche anche agli intolleranti al lattosio, proteina che resta quasi tutta nel siero, altro sottoprodotto della scrematura del latte, e degradata completamente in fase di stagionatura».

IL CONSORZIO. Il Grana Padano è un prodotto DOP, una denominazione d’origine protetta che l’Unione Europea concede per i prodotti che si caratterizzano dal punto di vista organolettico per la zona nella quale vengono prodotti e che sullo stesso territorio hanno delle ricadute economiche e sociali particolarmente significative. «Mi piace porre l’accento proprio su quest’ultimo aspetto perché il territorio nel quale Grana Padano si produce è fortemente caratterizzato da questa produzione – continua il presidente Baldrighi -. Innanzitutto quasi la metà del latte prodotto è utilizzato per il Grana Padano e sono coinvolti 130 caseifici 5.000 allevatori e 50.000 addetti. Inoltre dietro la produzione di questo formaggio c’è una cultura e una tradizione di conoscenza che si tramanda da padre in figlio. Un’esperienza necessaria perché la produzione avviene in caldaie di rame da 10 quintali dove si producono 2 forme per volta senza alcuna standardizzazione con la figura del casaro che è ancora fondamentale. Non bisogna dimenticare, poi, che la produzione non si può arrestare e continua per 360 giorni all’anno».

IL MARCHIO DOP. Per poter far parte del Consorzio e ottenere il marchio Dop per le proprie forme, ogni produttore deve soddisfare tutti i requisiti previsti dal disciplinare depositato presso l’Unione Europea. «Chi realizza Grana Padano all’interno della zona di produzione rispettando i dettami del disciplinare ha diritto all’utilizzo del marchio. Naturalmente oltre ai diritti esistono anche i doveri. Chi entra a far parte di questo circuito è assoggettato a controlli e verifiche. Ci sono una trentina di ispettori che visitano i caseifici, di questi una ventina verificano il prodotto al nono mese di stagionatura e se tutto è a posto imprimono il marchio a fuoco sulla forma». Gli altri 10 ispettori, invece, vigilano nei reparti delle aziende che producono preconfezionato e grattugiato. «In questi casi gli stabilimenti devono chiedere un’autorizzazione, rilasciare una fidejussione e assoggettarsi a tutti i controlli che il Consorzio ritiene necessari. Nei reparti di grattugia, in particolare – sottolinea – il controllo è effettuato da un ente terzo, il Csqa, ed è prevista in fase di la presenza di un ispettore fisso in fase di lavorazione».

IL GRANA PADANO ALL’ESTERO. La produzione di Grana del 2017 è stata di poco meno 5 milioni di forme interessando il 25% del latte prodotto in Italia. «Un terzo della produzione, quindi il 37-38% viene esportata. Il paese in testa per acquisti – sottolinea – è la Germania, subito dietro ci sono gli Stati Uniti il cui import è influenzato dal rapporto euro-dollaro, a seguire Svizzera, Francia e Inghilterra».

UN AMBASCIATORE ITALIANO. IL Grana Padano Dop è un ambasciatore del gusto italiano nel mondo. «È vero che il Parmigiano Reggiano, con il quale la differenza di produzione è minima (alimentazione delle bovine, affioramento spinto che fa variare di uno 0.2-0.3% in meno la quantità di grasso nel latte, utilizzo di lisozima nella caseificazione e stagionatura più lunga), è mediaticamente più conosciuto. Questo sia per una storia di marchio più lunga della nostra, sia al termine “Parmesan” che è stato un apripista perché sinonimo di formaggio duro da grattugia. Quella del Grana Padano, però – è la conclusione di Baldrighi – è di gran lunga la Dop più importante in termini di volume e fatturato».

Mariella Caruso