Antonello Paparella spiega cosa c'è dentro la maggior parte dei gelati cosidetti artigianali

Cosa c’è dentro un gelato? Tutti pensiamo di saperlo, ma è davvero così? «In realtà oggi è molto difficile sapere cosa c’è nel gelato che mangiamo perché negli ultimi 50 anni le cose sono molto cambiate: siamo passati da un gelato nutriente preparato con latte, uova, zucchero, frutta, cioccolato, paste di nocciola e altri ingredienti naturali che poteva sostituire un pasto a un prodotto che non è più uniformato», spiega Antonello Paparella, ordinario di Microbiologia alimentare all’Università degli Studi di Teramo, al sito degli Ambasciatori del Gusto.

A innescare il cambiamento è stato da un lato la diffusione del gelato industriale, dall’altro le nuove abitudini dei consumatori. «Il gelato si è trasformato da alimento stagionale ad alimento consumato 12 mesi l’anno. Il calo delle vendite nel periodo invernale, però, presuppone una maggiore stabilità del prodotto – continua Paparella -. La stessa che serve a un gelato che non è più conservato nei secchielli, ma esposto in vetrina. In “aiuto” a un prodotto che deve sopportare aria e luce, è arrivata l’industria degli additivi».

Il prodotto così ottenuto, però, anche se è venduto nelle gelaterie, cosiddette “artigianali”, è un prodotto che somiglia sempre di più al gelato industriale. E pur non esistendo in Italia una legge che definisca cosa sia un gelato artigianale, dovrebbe essere ben chiaro che tipo di gelato viene somministrato nelle gelaterie e il “Libro unico degli ingredienti” può essere d’aiuto. «La presenza di grassi estranei come olio di cocco, di palma, di karitè, di palmisto stride con l’artigianalità. La presenza di frutta secca, uova e panna invece è compatibile».

Un altro capitolo è quello degli additivi, degli emulsionanti. «Non deve essere demonizzata la presenza di qualche additivo. Sono additivi anche la farina di semi di carrube o l’acido citrico – continua il microbiologo -, ma non è accettabile che se ne utilizzino 10/15 insieme come succede quando un gelatiere compra una base industriale ad alta grammatura da mettere nel mantecatore insieme ad acqua o latte. Poi ci sono le gelaterie di alcune catene che hanno finti laboratori per dare l’idea della produzione artigianale, ma il gelato viene prodotto altrove e decongelato all’occorrenza. Dov’è in quel caso l’artigianalità del gelato?».

Un gelatiere cosa dovrebbe assolutamente evitare? «La centralizzazione della lavorazione in un unico centro di produzione distante dal punto vendita, l’utilizzo di basi ad alta grammatura. Poi dovrebbe – conclude Paparella – utilizzare con parsimonia gli additivi e gli emulsionanti e bandire i grassi diversi da quelli di uova, latte, panna e degli ingredienti freschi utilizzati per il gusto specifico del gelato».

Mariella Caruso

Antonello Paparella, ordinario di Microbiologia alimentare all’Università degli Studi di Teramo.


A rischio la formazione professionale per i mestieri di sala e cucina di Amatrice

Poco meno di un anno fa, nei giorni successivi al terremoto che il 24 agosto 2016 devastò il centro di Amatrice, il Centro di Formazione Professionale di Amatrice che prepara i ragazzi ai mestieri di sala e cucina si trovò ad affrontare momenti molto duri: 92 studenti e nessuna sede dove far cominciare le lezioni. Ma per il Centro di eccellenza diretto da Fabio D’Angelo che aveva appena attivato il 4° anno per il diploma di tecnico di cucina e di sala, in cui i ragazzi e le ragazze beneficiano di una sistemazione convittuale, la soluzione fu subito trovata con il trasferimento a Rieti. «I locali, dotati di cucina attrezzata e sala mensa dove poter svolgere le esercitazioni, ci sono stati messi a disposizione dalla Sabina Universitas, per gli alloggi è stata sottoscritta la convenzione con due strutture alberghiere. La Regione Lazio, invece, come di consueto ha garantito i servizi di trasporto, libri di testo e sussidio per l’acquisto delle divise», racconta D’Angelo.

Purtroppo, però, non si può dire in questo caso che “tutto è bene quel che finisce bene”.  A un anno dal terremoto che ha reso inagibile i locali del Centro di Formazione Professionale l’attività scolastica è a rischio. «Purtroppo, nonostante nulla sia cambiato se non la sede delle lezioni che continueranno a Rieti, per l’anno scolastico che comincerà a metà settembre sono soltanto 16 gli iscritti al 1° anno contro i 50 che, negli anni scorsi, ci permettevano di formare due classi», si rammarica il responsabile del Centro.

Per trovare i motivi delle defezioni non si deve cercare in un calo della qualità della formazione e, se può essere dovuto al trasferimento a Rieti di cui qualcuno non è a conoscenza, «principalmente a far demordere le famiglie – sottolinea D’Angelo – è la paura del terremoto». «Purtroppo – continua – c’è la convinzione che tutto possa ricominciare e soltanto in pochi si rendono conto che il rischio terremoti interessa buona parte dell’Italia».

Il rammarico è ancora più grande perché il Centro Professionale in questione forma ottimi addetti di sala e cucina. «Da noi vanno avanti soltanto gli studenti motivati – chiarisce il direttore -. Grazie agli accordi sottoscritti i nostri studenti svolgono stage nelle cucine e nelle sale di chef stellati e alberghi di prima categoria in Italia, all’estero (al momento è in atto una partnership con un istituto di Montreal, Canada, per scambi didattici) e sulle navi. Venti dei nostri primi studenti del 4° anno cominceranno a settembre, tramite borse di studio, una specializzazione all’Università della Catalogna».

Anche gli Ambasciatori del Gusto hanno raccolto l’appello del Centro di Formazione Professionale di Amatrice, sono allo studio “pacchetti formativi” di specializzazione presso gli esercizi degli associati per gli studenti che possono continuare a iscriversi. «Accettiamo nuovi iscrizioni fino a metà ottobre, abbiamo programmi personalizzati per studenti con Dsa (dislessia, discalculia, disgrafia, ndr). Offriamo vitto, alloggio, servizio pullman dalla stazione di Rieti alla scuola il lunedì mattina e dalla scuola alla stazione il venerdì pomeriggio, oltre naturalmente – conclude – la consueta eccellenza nella formazione».

Mariella Caruso

Centro di Formazione Professionale di Amatrice:

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Il pesce di lago rilanciato dagli Ambasciatori del Gusto

Tutelare l’ambiente nel quale si vive dovrebbe essere un dovere di ognuno. Lo è, a maggior ragione, per chi come ogni aderente all’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto si è dato la missione di divulgare l’identità, la storia e la sensibilità italiane attraverso la passione e il lavoro. L’ambiente, infatti, è stato necessario (e lo è ancora) per costruire quell’identità e quella storia da divulgare.

Tra l’ambiente da tutelare c’è anche il sistema delle acque interne che l’Ambasciatore del Gusto Marco Sacco – nato sul lago di Mergozzo, specchio d’acqua piemontese oggi considerato dagli esperti il più pulito d’Europa – ha deciso di valorizzare attraverso la creazione del “Movimento Gente di Lago”. «Ho voluto riunire attorno al progetto chef di prestigio nazionale e internazionale, ittiologi, acquacoltori, pescatori e produttori in difesa del sistema delle acque interne», spiega Sacco.

«Sono sempre stato anarchico e per i miei piatti ho continuato a usare i pesci del mio lago anche quando questo non veniva considerato un valore. Io sono stato ricompensato dalle “stelle” conquistate. Adesso è arrivato il momento di ripagare un debito con l’ambiente», continua. Lo chef Sacco con il Movimento Gente di Lago ha voluto, così, creare un’alleanza tra chef e ricercatori per valorizzare acque interne.

«I fiumi e i laghi sono una grande metafora della connessione che lega tutti. Oggi, un approccio all’insegna della sostenibilità e del rispetto ambientale ci può permettere di conoscere e far conoscere a tutti l’ecosistema lago», sottolinea l’Ambasciatore del Gusto che per lanciare la sua iniziativa ha riunito chef tra cui tra cui Ambasciatori del Gusto come Enrico “Chicco” CereaSandro e Maurizio Serva, Alessandro Gilmozzi Renato Bosco, panificatori per due serate (a ottobre diventeranno tre) sul Lago di Mergozzo per far parlare gustose pietanze a base di trota, carpa e storione. Fondamentale il contributo di scienziati e ricercatori. «Il riscaldamento delle acque generato dai cambiamenti climatici impone all’ambiente un continuo cambiamento che parte dall’interpretazione di questi mutamenti. Creare una cultura gastronomica che punti sulla qualità è un asset fondamentale per lo sviluppo e il ruolo degli chef come Ambasciatori di questo mondo è importantissimo», chiarisce il veterinario e ittiologo Pierpaolo Gibertoni.

Circuiti virtuosi lacustri sono stati creati anche dall’Ambasciatore del Gusto Antonino Cannavacciuolo che, riportando l’attenzione sul Lago D’Orta, con il suo ristorante bistellato, ha permesso la rinascita del Lago. La nascita di Ittiorta, progetto di risanamento e ripopolamento delle sue acque poi, ha fatto il resto. E c’è anche lo stellato Leandro Luppi che cucina sulla sponda veneta del Lago di Garda, già ospite della serata di Sacco dedicata alla carpa, che da ben otto anni promuove il pesce di lago con il suo evento “Fish & Chef”. Ma ci sono ancora infiniti circuiti virtuosi possibili, che non si fermano al lago, che possono essere innescati.

Mariella Caruso


La stagionalità degli Ingredienti crea emozione

Lo scorso gennaio, dopo le gelate che avevano distrutto gli ortaggi del suo orto e quelli degli agricoltori da cui si rifornisce, Pietro Zito ha chiuso la cucina di Antichi Sapori che è regolata, come spiega presentandola nel sito, «dall’amore per le tradizioni, il rispetto per la materia prima, la stagionalità e l’eccellenza degli ingredienti» e in cui gli ortaggi occupano una parte essenziale. È più che naturale, quindi, interpellare lo chef pugliese di Montegrosso di Andria, Ambasciatore del Gusto, quando gli argomenti sul tavolo sono l’importanza della stagionalità degli ingredienti e il legame di questi con il territorio in cui vengono trasformati nella costruzione di un menù, nella scelta del gusto per un gelato e nella scelta del condimento per una pizza gourmet.

«Per un Ambasciatore del Gusto legato al territorio come lo sono io, è fondamentale conoscere la stagionalità degli ingredienti che cambia a seconda dei territori: un Ambasciatore che vive e lavora a Trento ha a che fare con una stagionalità diversa rispetto a un Ambasciatore pugliese o siciliano», attacca Zito. «Questo implica – continua l’uomo di cucina che non ama essere chiamato chef – una totale sintonia con il territorio e con gli agricoltori dello stesso, esserne parte integrante perché emozionare con il gusto della stagionalità è facile». «Siamo noi – fa osservare – che dobbiamo introdurre il cliente a un percorso. Per quanto mi riguarda agli “Antichi sapori” ho una bella lavagnetta in cui ogni giorno scrivo: “Oggi nell’orto c’è…” con il menu che, di volta in volta, può essere mensile, settimanale e giornaliero».

Questo tipo di approccio, quindi, presuppone un adeguamento del menù via via che i prodotti stagionali cambiano e una maggiore consapevolezza del cliente ormai abituato a mettere in tavola le fragole a Natale e la zucca a Ferragosto. «Per questo oltre al menu e alla carta dei vini, ogni Ambasciatore potrebbe affiancare una carta dei fornitori con nome e cognome e prodotto fornito – sottolinea -. Come ho avuto modo di affermare anche in occasione della presentazione della “Carta di Milano” questo permetterebbe di creare un’alleanza con i nostri agricoltori».

Realizzare un piatto davvero a chilometro zero, però, significa «andare fuori dagli schemi più evoluti della cucina, integrare una cucina molto più semplice, immediata e giornaliera con il cuoco che deve inventarsi un piatto e valorizzarlo. Oggi esiste un pensiero molto più tecnico e rigido sulla cucina e ci s’industria a trovare questo o quell’ingrediente per realizzare un piatto del menu, invece si potrebbe girare nei mercati e adeguare il piatto all’ingrediente. E soprattutto – conclude – non staccarlo da un territorio: se io vado a Milano penso al riso con lo zafferano, se vado a Bologna ai tortellini, se in Sicilia alla pasta alla Norma. Il compito degli chef dovrebbe essere lavorare attorno a quel piatto per farlo diventare più invitante, leggero, armonico e colorato».

Mariella Caruso